Comunicati | 14 Maggio 2021 | Fabio Ciarla

Rosati fermi di qualità: vocazionalità, varietà e scelta mirata delle tecniche agronomiche, enologiche e biotecnologiche

Il ruolo della vocazionalità, delle varietà, adatte e adattate, e la scelta ragionata e mirata delle tecniche agronomiche, enologiche e biotecnologiche sono centrali per produrre vini rosati fermi di qualità.

Questo il messaggio emerso dall’evento digitale, partecipatissimo, organizzato dalle Donne della Vite in collaborazione con Lallemand.

 

“Partire da una buona tecnica agronomica per arrivare a un ottimo prodotto nel bicchiere, passando per competenza e tecnologia in cantina. Questo il percorso corretto per tutti i vini e per i rosati in particolare. Ecco perché su questi ultimi, che stanno destando molto interesse nel mondo e anche in Italia, abbiamo organizzato, in collaborazione con Lallemand, un approfondimento con relatori di primordine”. Così Valeria Fasoli, presidente Donne della Vite, nella suo intervento di apertura del webinar “I rosati nell’era del climate change: le sfide per preservare aromi e tipicità”, ha rimarcato l’attenzione dell’Associazione ai temi della divulgazione tecnico-scientifica di alto livello di cui l’incontro, assieme ad altri organizzati in passato, è testimonianza.

Paola Vagnoli, area manager di Lallemand  Italia, ha sottolineato come “l’idea di questo incontro parta dalla consapevolezza che la produzione di rosati di qualità, in un contesto di cambiamento climatico, non possa prescindere da una viticoltura dedicata a questo scopo”. Lallemand, azienda che produce lieviti e batteri, e suoi derivati, per l’enologia, negli ultimi anni ha sviluppato una gamma di prodotti, denominata LalVigne, dedicati alla viticoltura. “Gamma che è in continuo sviluppo per supportare la qualità dei vini partendo dal vigneto”.

Nel contesto del cambiamento climatico il coordinamento tra gestione del vigneto e azioni in cantina è di vitale importanza per i rosati forse ancor più di quanto lo sia per altre tipologie enologiche. E nell’incontro, moderato da Costanza Fregoni, tra le fondatrici dell’Associazione e moderatrice del convegno, sono stati toccati i punti nevralgici delle situazioni differenti per areale di coltivazione, varietà utilizzate e tipologia di prodotto, e messi in evidenza rilevanti denominatori comuni per produrre vini rosati fermi di qualità. Vini che, secondo gli ultimi dati consolidati del 2018, rappresentano il 10% circa degli scambi mondiali e che vedono protagonisti della produzione la Francia e, staccati di gran lunga, Stati Uniti, Spagna e Italia. Con la Francia che primeggia da sempre anche per i consumi.

“Solo con un approccio sistemico alla gestione del vigneto potremo ancora produrre ottimi rosati che esprimano le caratteristiche dei terroir italiani – ha illustrato Luigi Tarricone del Crea-VE di Turi, Bari. È necessario mettere in atto strategie per modulare gli effetti negativi del cambiamento climatico relativamente alle diverse varietà fondate sul miglioramento della sostenibilità dell’agro-ecosistema vigneto, su un equilibrio vegeto-produttivo con valori di superficie fogliare esposta superiori a 1 m2  per kg di uva, su sistemi di monitoraggio semplici e puntuali per lo stato idrico del suolo, della pianta e del microclima della chioma, in modo da evitare stress idrici e termici, soprattutto a inizio invaiatura. Cruciale è ridurre lo sfasamento tra maturazione tecnologica e fenolica”.

Per produrre vini rosati di qualità, infatti, è necessario arrivare alla maturazione tecnologica con una composizione bilanciata dal punto di vista dei metaboliti secondari. “Questa è forse la sfida più difficile posta dal cambiamento climatico – ha sottolineato nel suo intervento Fabrizio Battista di Lallemand. L’utilizzo di due prodotti ad applicazione fogliare all’invaiatura a base di specifici lieviti inattivati, LalVigne Aroma e LalVigne Matura, che stimolano il metabolismo secondario in modo differente, migliora la produzione di precursori aromatici nelle uve e la maturità fenolica. Ne risulta una ottimizzazione del profilo aromatico floreale e fruttato e un controllo della componente fenolica immatura, elementi di qualità che si apprezzano nel vino, soprattutto quando gli equilibri fini sono fondamentali come nel caso dei rosati”.

Il favore dei mercati sta portando a una diffusione dei vini colorati delle diverse sfumature dal rosa al cerasuolo, producendoli ovunque, con qualsiasi varietà e spesso con uve del diradamento di vigneti destinati ai rossi. Tuttavia se si parla di rosati di elevato standard qualitativo “è necessaria una ‘viticoltura dedicata’ a maggior ragione in tempi di cambiamento climatico – ha affermato Mattia Vezzola, vice presidente del Consorzio Valtenesi e patron dell’azienda Costaripa di Moniga del Garda, Brescia. Una viticoltura che non può prescindere dalla vocazionalità e dalla genetica, ossia dall’utilizzo di varietà adatte e adattate, come accade nei territori italiani in cui storicamente si producono questi vini. Inoltre, fare rosé è molto difficile, serve un alto profilo tecnico e tecnologie costose. Peraltro per vini a cui non frequentemente vengono riconosciuti i prezzi elevati che meriterebbero. Infine servirebbe più ricerca dedicata: dovremmo imparare dalla Provenza che investe 750 mila euro all’anno”.

E  a proposito di rosé francesi Giacomo Pinna dell’Institute Cooperative du Vin (ICV) (France), ha illustrato i criteri di scelta principali per quanto riguarda le varietà provenzali.  “Il primo è sicuramente il tenore in antociani – ha raccontato Pinna – visto che il colore è il fattore principale e distintivo dei rosé di Provenza. Il loro contenuto nei vitigni in uso è piuttosto variabile, dal Syrah che ne è più ricco, al Cinsault che ne ha meno. E poi ha sottolineato come, in un areale altamente specializzato per la produzione di rosati come la Provenza, le conoscenze agronomiche per la produzione di rosati prendano in considerazione specifiche tecniche per la gestione della chioma, la nutrizione e la gestione idrica con l’obbiettivo di preservare e favorire l’accumulo di composti aromatici”.

Sull’importanza di quello che Luigi Moio, professore ordinario di Enologia presso l’Università degli Studi di Napoli, produttore di vino e vice-Presidente dell’Organisation Internationale de la Vigne et du Vin (OIV), ha chiamato il “perfetto incastro” tra ambiente, pianta, suolo e uomo, è fondata la qualità di un grande rosato. “Produrre grandi rosati è possibile soltanto partendo da uve e mosti che hanno un equilibrio intrinseco – ha proseguito Moio – da qui l’importanza della vocazionalità, della ‘adeguatezza’ della varietà e del contrasto agli effetti del riscaldamento globale, con la tecnica agronomica, che interviene a minarlo. Pur intervenendo con correzioni, per esempio sul pH, non si riesce a ricreare la situazione ottimale che genera l’eccellenza. I rosati non hanno capacità endogene antiossidanti e questo, se l’equilibrio non è preesistente, ne pregiudica colore e longevità. Tuttavia in tutto il mondo si producono buoni rosati, grazie alle innovazioni biotecnologiche, cioè a lieviti e batteri selezionati, che hanno rivoluzionato l’enologia rendendola ‘leggera’”.

ASSOCIAZIONE DONNE DELLA VITE
CHE COS’È – È un’associazione nazionale senza fini di lucro aperta a tutte le persone fisiche, donne e uomini, legate professionalmente al mondo vitivinicolo. FINALITÀ E SCOPI – Diffondere e valorizzare la cultura viticola ed enologica, favorendo occasioni di incontro e formazione tra le varie figure professionali che operano nel settore. Agevolare la comunicazione tra il mondo della ricerca e i fruitori dei risultati della ricerca stessa, lungo la filiera viticola. Promuovere, valorizzare e tutelare la professionalità femminile del settore vitivinicolo in un’ottica di pari opportunità. Evidenziare, sostenere e diffondere gli aspetti di etica, estetica e bellezza legati al mondo della vite. Dare particolare rilievo ai principi di sostenibilità e tutela del territorio viticolo.

 

Fonte: Ufficio stampa Donne della Vite

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