Blog | 18 Febbraio 2024 | Fabio Ciarla

Dove nasce la supercazzola (no, non è Report*)

Quando si parla di Ugo Tognazzi viene subito in mente Amici Miei, un mix di comicità e denuncia sociale, limitando di certo quello che è il curriculum di uno dei mostri sacri del nostro cinema (ma anche della TV). In tempi bui però è ovvio che una risata sia necessaria, allora perché non farla, con stile e gusto, con Tognazzi e… La Tognazza!

Il racconto parte della visita alla mitica “Casa Vecchia” di Ugo Tognazzi nella campagna della mia Velletri, un secondo round visto che avevo già avuto la fortuna di partecipare ad una delle serate “situescion” organizzate dallo staff extra-ordinario del “Territorio libero di Tognazza” (ne potete leggere qui) godendo (anche) della simpatia di Gianmarco “Gimbo” Tognazzi. Questa seconda visita, leggermente più formale se il termine si adatta allo stile dell’azienda, era dedicata all’approfondimento e alla conoscenza dei vini, con la guida di Alessandro Capria (“partner in crime” di Gianmarco per La Tognazza), Simona Ottaviani (accoglienza e gestione eventi La Tognazza) e Valeria Pintore (moglie di Gianmarco, fortemente attiva nella conduzione dell’azienda). E proprio per rimanere poco seri partiamo dal titolo, una supercazzola sì, ma non come quella di Report. I vini “veri” quali sono esattamente? È più “vero” un vino rispettoso esclusivamente del territorio o della personalità del produttore? Se contasse solo il territorio teoricamente tutti i vini fatti in un certo areale sarebbero uguali. Quindi anche in questo caso si dovrebbe parlare di (quasi obbligata) “omologazione”… o sbaglio?

Ma torniamo a noi, perché a La Tognazza le scelte aziendali contano fin dall’inizio. Da quando Ugo ospitava i suoi amici, grandi nomi del cinema e dello spettacolo, imponendo un paio di regole… La prima riguardava la sua cucina, inevitabile quanto insindacabile, e la seconda il vino, tutto quello regalato degli ospiti finiva in una grotta (la cui volta è poi crollata e non è mai stato recuperato, chissà che tesoro che c’è lì sotto…) mentre a cena si beveva quello prodotto a Velletri da Ugo. In particolare un bianco frizzante, lo “Schiumante”, e i due fermi, bianco e rosso, con l’etichetta storica “La Tognazza amata”. A dirla tutta pare che proprio maneggiando con poca cura una bottiglia di Schiumante sia finito, inavvertitamente, del vino in un risotto in preparazione. Da lì alla ricetta del Risotto allo Champagne il passo sarebbe stato breve perché Ugo Tognazzi, con la generosità che lo contraddistingueva, avrebbe regalato l’intuizione al mitico Paul Bocuse che l’ha poi resa famosa aggiungendo le mitiche bollicine francesi. Ecco, proprio in una serata probabilmente “parecchio alcolica” con amici stretti come gli sceneggiatori Piero De Bernardi e Leo Benvenuti, nonché il grande regista Mario Monicelli, sarebbe partita una cantilena, una specie di scioglilingua senza senso e forse biasciato per il troppo vino bevuto, ovvero quel “tarapia tapioco come se fosse antani con la supercazzola prematurata e lo scappellamento a destra” che tutti ormai conosciamo a memoria.

In onore di questo amore di Ugo Tognazzi per il vino e gli amici, secondo solo a quello per la cucina (da ricordare la sua esperienza come direttore di “Nuova Cucina”, il programma di Rete 4 “Ristoranti d’Italia”, i quattro libri di ricette “Rigettario” per rigettare tutti i luoghi comuni), Gianmarco e Alessandro hanno voluto dedicare le loro etichette, e quello che c’è dentro le bottiglie, ad una idea ben precisa di vino. Liberi di agire e di pensare fuori dagli schemi, nella produzione de La Tognazza oggi ci sono sei vini, di cui uno solo ha un riferimento territoriale, ovvero il Casa Vecchia che è un Igt Toscana. Per il resto, Tapioco, Come se fosse, Antani, Conte Mascetti e La Voglia Matta propongono uvaggi misti (Velletri e Toscana in particolare) e vesti grafiche che vogliono raccontare un’esperienza diversa dal solito, puntando tutto su piacevolezza e facilità di comprensione.

Perché poi, e scusate l’ennesimo riferimento a Report, sembra quasi che la storia del vino italiano non ci abbia insegnato nulla. Stavamo appena uscendo da una visione del vino solo per esperti, per degustatori professionisti ecc. e oggi, puntando tutto sul naturale e sulla unicità di ogni vino (anche di anno in anno mai uguale a sé stesso), stiamo ribadendo che alla fine solo i grandi conoscitori potranno apprezzare realmente quell’etichetta o quel vitigno. Anche perché saranno gli unici a “capirlo” visto che il consumatore medio alla seconda bottiglia totalmente diversa da quella precedente deciderà, come è ovvio, di lasciar perdere, produttore, vitigno, denominazione e bersi, magari, una bella birra artigianale! Se va bene…

Basta polemiche, rientriamo nello spirito del Territorio libero di Tognazza e parliamo di vino… bevuto!

Cominciamo con Tapioco #22 (Chardonnay 60%, Vermentino 40%) che ha il naso fresco e con accenni vegetali del Vermentino e il palato sapido e pieno, con un finale leggermente amaricante che dà originalità.

Il Come se fosse #21 (Merlot 55/60%, Sangiovese 45/40%) si presenta piacevole al naso con un fruttato fresco di spessore, poi al palato mostra ancora qualche spigolo con una chiusura verde che mette momentaneamente in discussione l’equilibrio complessivo.

Passando ad Antani #21 (55/60% Syrah, 45/40% Sangiovese) sembra proprio l’equilibrio al palato l’elemento più interessante, sfruttando le migliori armi del Syrah al naso e la verticalità di un Sangiovese non stramaturo al palato.

Il Conte Mascetti #20 (Syrah 35%, Merlot 35%, Sangiovese 30% – 15 mesi di barrique) ha la stoffa del rosso importante, speziature al naso con accenni balsamici, poi al palato buona struttura, nel complesso equilibrato e con la nota morbida che caratterizza tutta la produzione.

Il bianco di punta dell’azienda, La Voglia Matta #19, è uno Chardonnay 100% con 12 mesi di affinamento in barrique. Una beva solida e per appassionati di questo tipo di affinamento, le note di miele e vaniglia sono importanti, la bocca è calda e avvolgente.

Chiudiamo con il Toscana Igt Casa Vecchia 2016 (Sangiovese 90%, Cabernet Sauvignon 10% – 18 mesi di barrique), un rosso da lungo affinamento con spezie, accenni balsamici e una nota di cipria che amplia le sensazioni olfattive. Interessante l’approccio al palato, profondo, di buona struttura e privo di morbidezze scontate o prevedibili.

Un viaggio piacevole, che “rigetta” alcuni stereotipi per mettere in mostra una propria idea di vino. Così è, se vi “piace”…

* Il riferimento a Report è legato non solo alla questione dei lieviti indigeni e “industriali” – che poi vaglielo a spiegare che per mantenere un’azienda e pagare gli stipendi dei dipendenti non puoi affidarti sempre alle fermentazioni spontanee che ogni tanto si interrompono, deviano ecc. – ma soprattutto all’uso sapiente della miscelazione di notizie riguardanti illeciti e speculazioni giornalistiche su fatti leciti. Ecco, il problema principale a mio parere è questo: accostare volutamente pratiche lecite, di cui è giusto discutere, in un alone di “frode” creato ad arte citando fatti gravi e sicuramente da condannare e punire secondo le norme vigenti.

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