Blog | 6 Ottobre 2015 | Fabio Ciarla

Montalbera: sei generazioni di vignaioli e una sola religione, il Ruché

Monferrato e Langhe insieme, ma soprattutto il primo, e sei generazioni di proprietari terrieri all’opera tra Castagnole Monferrato, Castiglione Tinella e Castiglione Falletto con una sola religione: territorio e vitigni autoctoni, in particolare Ruché.

L’Azienda agricola Montalbera produce infatti anche Barbera e Barolo, ma da sempre ha preferito concentrarsi sui vitigni rossi meno famosi del Piemonte, come il Ruché e il Grignolino. Il Ruché di Castagnole Monferrato è la vera e propria sfida dell’azienda, con il 70% del totale della DOCG che nasce da questa realtà, parliamo di 70 ettari sui 110 totali a Denominazione. Percentuale altrettanto importante seppur non maggioritaria per il Grignolino d’Asti, con una quota del 20% sull’intera produzione. Poi ancora Moscato d’Asti ed etichette più vocate al mercato, spumanti e rosato per capirci, comunque realizzati secondo i principi di un’azienda che predilige l’integrità dei frutti e la conservazione massima di quello che il territorio esprime.

Ma torniamo al Ruché, definito il “Principe Rosso del Monferrato”, che rappresenta per la famiglia di Enrico Riccardo Morando una vera e propria religione, tanto da averne voluto studiare tutti i dettagli, fino alla certificazione genetica tramite il DNA. Montalbera intitola questo capitolo la “Patente genetica del Ruchè”, uno studio scientifico portato avanti dal laboratorio Bioaesis srl di Ancona, mirato a “utilizzare il DNA come un invisibile barcode per l’implementazione di un sistema innovativo di tracciabilità genetica dei vini”. L’importanza di questa tracciabilità, in particolare per i vini monovarietali, è facile da immaginare, anche visti gli ultimi scandali del mondo enologico nazionale. Un progetto innovativo e precursore quello di Montalbera, assolutamente nuovo per il Ruché, cominciato appunto con la determinazione della “carta di identità genetica”, o fìngerprinting genetico, del vitigno. Senza andare sul tecnico, aspetti che trovate comunque sul sito dell’azienda, possiamo dire che l’obiettivo è stato raggiunto determinando il profilo genetico della varietà Ruché e confrontandolo con quelli delle altre varietà, dimostrandone così la sua identità varietale. L’applicazione pratica di questa scoperta è consistita nell’analizzare il DNA residuale della vite ancora presente nel vino stesso, riuscendo così a identificare la varietà di uva utilizzata nel processo di vinificazione, evidenziando al contempo l’eventuale presenza di uve estranee. Un processo di grande importanza non solo per il Ruché, si tratta infatti di una soluzione potenzialmente di grande impatto per la tutela dei consumatori qualora venisse adoperata su larga scala per controllare la veridicità delle informazioni prodotte dalle aziende alimentari, non solo vinicole ovviamente. Uno sforzo, quello di Montalbera per il Ruché, che potrebbe essere di esempio per molte altre realtà italiane, sempre alla ricerca di una certificazione di qualità e genuinità che spesso non riescono ad emergere su un mercato competitivo come quello enoico.

Significativo come un vitigno dalle origini e dall’etimologia misteriose debba gran parte della sua riscoperta a due figure diverse dal classico vignaiolo, ovvero un parroco e una donna di studi. Il primo, don Giacomo Cauda, alla fine degli anni settanta si dedicò con grande entusiasmo alla produzione del Ruché dopo averne ricevuto come beneficio parrocchiale una piccola vigna. La seconda è invece il sindaco di Castagnole Lidia Bianco, già segretaria della scuola d’Agraria di Asti, che si impegnò per l’assegnazione della “denominazione di origine controllata”, arrivata nel 1987.

Insomma ci sono tutte le caratteristiche per raccontare una storia vera di grandi territori e grandi vini, c’è l’innovazione e il mito… non rimane che assaggiare!

 

Ruché di Castagnole Monferrato DOCG 2013 – La Tradizione

Un naso inizialmente non perfetto a causa di qualche nota di riduzione, che poi si apre e manifesta la sua forza in frutti rossi e fiori, in particolare prugna e rosa, ma anche una speziatura interessante con note di noce moscata. Il rosso rubino espresso dall’uva mostra qualche riflesso aranciato, prospettando un’evoluzione da scoprire ma senza aspettare troppo. Netto in bocca, con una buon acidità e una media struttura.

In una parola: ONESTO

Prezzo suggerito in enoteca: 12,5 euro

Voto: 6,5/10

 

Ruché di Castagnole Monferrato DOCG 2013 – Laccento

Tornano anche qui i riflessi aranciati, possibili anche a causa della presenza di uve surmature, ma con il consueto rosso rubino non troppo carico a riempire il bicchiere. La complessità olfattiva arriva dal ribes e dalle note mentolate di Eucaliptus, sentori che vanno quindi dai piccoli frutti neri al balsamico per un ricchezza intrigante. In bocca l’acidità è ben presente, così come i tannini, facendo presupporre una buona evoluzione nei prossimi anni anche grazie alla persistenza in bocca.

In una parola: VALIDO

Prezzo suggerito in enoteca: 15 euro

Voto: 8/10

 

Ruché di Castagnole Monferrato DOCG 2011 – Limpronta

Il passaggio in legno, a mio parere, offusca le sfaccettature di questo vino. Discorso difficile, il giudizio è meno netto di quanto si possa pensare ma succede quando le aspettative sono alte. Parliamo insomma di un ottimo vino, probabilmente però limitato nelle sue potenzialità da un ammorbidimento di forme e contrasti di cui non riesce a giovarsi. Si conferma il rosso rubino ma più intenso di quello dei cugini, al naso la vaniglia emerge soprattutto dopo un po’ di ossigenazione, ma sono presenti anche l’Eucaliptus e la frutta rossa matura. Rimane molto equilibrato in bocca ma, appunto, sembra non esprimere completamente le proprie ricchezze.

In una parola: OFFUSCATO

Prezzo suggerito in enoteca: 25 euro

Voto: 7+/10

 

 

LA MALEDETTA

Come le punizioni che scendono a tradimento e si infilano sotto la traversa oggi inauguro un gesto degustativo assolutamente incongruo, che farà rizzare i capelli ai colleghi sommelier ma che fa parte della mia cultura popolare. Insomma degustati i tre Ruché di cui sopra sono rimasti degli avanzi nelle bottiglie, diciamo due parti de L’Impronta, una parte ciascuno per gli altri. Io il vino non lo butto, ma anche lasciare tre bottiglie aperte era un suicidio, quindi ho realizzato un blend casalingo davvero sorprendente. All’improvviso mi sono accorto di aver fatto gol: la freschezza del base, la complessità de Laccento e la consistenza de Limpronta hanno dato vita a un grandissimo Ruché. E me lo sono proprio goduto…

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