Blog | 11 Dicembre 2016 | Fabio Ciarla

Il “Galloni-pensiero” in 6 mosse / Collisioni 2016-Capitolo 2


Avrei voluto è dovuto scrivere prima di questo incontro con Antonio Galloni ma va bene anche così, le indicazioni lanciate dal creatore di Vinous ai produttori di vino italiani, e ai giovani in generale, durante Collisioni 2016 a Barolo sono assolutamente ancora valide. Provo a farne un elenco per tema, non proprio un decalogo ma di certo qualcosa di facilmente fruibile. Più difficile invece aggiungere commenti, che comunque sono evidenziati tramite corsivo.

Nelle immagini invece trovate la raccolta di tweet con i quali ho cercato di raccontare in diretta gli altri argomenti trattati da Antonio Galloni sabato 16 luglio a Barolo, dall’abbandono di Wine Advocate alle innovazioni di Vinous, passando per i nuovi progetti che lo vedono in collaborazione da una parte con Ian D’Agata e dall’altra con “MapMan” Alessandro Masnaghetti. Confermando quindi la centralità dell’Italia non solo come produttrice di vini ma anche di buoni contenuti.

Galloni e il vino
L’importanza dell’annata
Grazie ai miglioramenti tecnici di oggi non ci sono più grandissime differenze nelle annate. Ai miei lettori dico sempre di comprare prima l’azienda e poi l’annata. È facile comprare un’annata mediocre da un grande produttore, mentre è difficile comprare una grande annata da un produttore mediocre. Io non cambio approccio al vino secondo l’importanza dell’annata.
Non ci avevo mai pensato, ma alla luce del Galloni-pensiero è del tutto coerente. In fondo la grandezza di un’azienda dipende anche dal saper trarre il meglio da un’annata non felice. O no?
L’enoturismo
Il turismo del vino è fondamentale, qui in Piemonte venti anni fa c’erano turisti solo in autunno per i tartufi e in primavera, quando i tedeschi hanno le ferie. Oggi c’è sempre gente in queste zone, negli ultimi 20 anni – anzi negli ultimi 7/8 anni – c’è un flusso continuo di persone che vengono e spendono, poi a casa ne parlano con gli amici che magari decidono di venire l’anno successivo.
Parole sante
Come far conoscere zone poco affermate come la Basilicata e l’Aglianico?
Le regioni non ancora conosciute a livello internazionale hanno bisogno di ambasciatori. Quando c’erano Angelo Gaja e Piero Antinori che andavano nel mondo facevano conoscere i loro vini ma anche le loro regioni. Nel mondo attuale, a tutti i livelli, manca la leadership e non è un problema solo italiano, come dimostra l’esempio di Robert Mondavi.
È un’idea che sposo in pieno e che ritengo sintomatica per la mia regione, il Lazio, dove si fa di tutto per affossare quei pochi esempi positivi che potrebbero essere un traino per il territorio. Ma il peggio deve ancora venire (vedi sotto quando si parla di Frascati).

Valorizzazione economica delle “nuove” regioni di produzione
Esiste un mercato specifico per i territori che non sono “classici”, visto che vini come Brunello o Barolo salgono subito di prezzo e di fascia. Nel mercato americano è importante entrare negli interessi dei ragazzi che comprano vino al ristorante. I sommelier hanno bisogno di mettere in carta cose nuove, ma bisogna lavorare e viaggiare tanto per presentare i propri vini. Negli Stati Uniti una sola persona può aprirti la porta a 4 o 5 ristoranti, in Italia non è così, ma devi girare tanto.
I Millennials sono nel mirino, ma spesso si mira con la balestra invece che un puntatore laser. Scusate la metafora poco elegante (ma molto americana tutto sommato), ma colpire l’immaginazione di una generazione così nuova non è facile e sicuramente non è pensabile attraverso vecchi strumenti.
Il vino del futuro
Fino a qualche tempo fa la viticoltura si era focalizzata sul concetto di stress, con rese basse e tanta attenzione alla concentrazione. Oggi invece mi sembra si stia puntando più sull’equilibrio, proposito che poi alla lunga si ritrova anche nel vino.
Di certo gli squilibri degli anni passati sembrano superati, vedremo se la tendenza è duratura e soprattutto diffusa.
Importanza delle Denominazioni, i casi Montepulciano e Frascati
(La domanda di una produttrice abruzzese era se la DOCG potesse essere una via giusta per differenziare i livelli qualitativi del Montepulciano d’Abruzzo nei confronti del consumatore e aiutare quindi il posizionamento dei prodotti di alta qualità)
Un consumatore che compra vino di qualità non penso sappia cos’è una DOCG o una DOP ecc. Ad altissimi livelli proprio non lo sanno, si basano sul produttore e sull’etichetta. Non penso che la DOCG abbia un senso nella certificazione della qualità, per esempio oggi anche il Frascati è una DOCG.
Ahia, fa male. L’unica citazione per la viticoltura laziale di un pomeriggio con Galloni si riduce ad essere portati come esempio negativo. Se abbia ragione o meno preferisco non indagarlo, sarei comunque di parte, tuttavia una riflessione sul concetto di “altissimi livelli” la voglio fare. Galloni, è evidente, ragiona e si esprime in merito a contesti molto differenti da quello che è il commercio di vino in Italia. Il problema è che i mercati di cui parla sono indispensabili per le cantine italiane, che quindi vivono questa discrasia tra un Paese in cui la maggioranza del valore è generata da vini medio-bassi in qualità e prezzo mentre all’estero, dove il consumo di vini è decisamente più legato a momenti edonistici, se non punti in alto non arriverai mai da nessuna parte. Vivere il locale, quindi, ma pensando da internazionali. Non facile, ma necessario…
Ti potrebbe interessare anche…

Vai per picchiare e torni che le hai prese / Collisioni 2016-Capitolo1

Collisioni e la degustazione internazionale, ovvero di come si degusta tra esperti di tutto il mondo

Collisioni emoziona, la vita insegna e a volte fa male

Una risposta a “Il “Galloni-pensiero” in 6 mosse / Collisioni 2016-Capitolo 2”

  1. […] LA DOMANDA: Molti sostengono che con il web la figura del giornalista è stata sminuita, lei come è riuscito a mantenere la sua credibilità? GALLONI: Una domanda fantastica, in effetti la figura del giornalista si è impoverita negli ultimi anni e non per il web, ma perché la gente non è più disposta a pagare per il nostro lavoro e questo mi fa arrabbiare. Fenomeni simili sono avvenuti anche in altri settori, per esempio i musicisti oggi non guadagnano più sui dischi ma sui tour, questo significa che bisogna modificare l’approccio e noi cerchiamo di farlo realizzando prodotti diversi e guardandoci intorno. Nel nuovo mondo dell’informazione bisogna diventare imprenditori e sono molto preoccupato per i giovani, ecco perché abbiamo istituito una borsa di studio per giovani giornalisti Under 30. Comunque è una strada difficile, ci vuole molto lavoro e tanta fortuna. Bisogna diventare esperti, metterci molta passione e vedere dove ci sono opportunità. Io sono stato fortunato perché ho trovato le opportunità, poi però le ho sapute anche sfruttate. Prima di tutto comunque è importante diventare esperti, specializzarsi in qualcosa che interessa davvero. D’AGATA: Condivido le parole di Antonio, anche io ho infatti un mio progetto per i giovani, ma non è che siamo generosi e basta, ci aspettiamo infatti che i giovani si impegnino per dare qualcosa in cambio di queste opportunità. I giovani bravi che lavorano duro troveranno sempre qualcuno che li aiuterà Posso confermare in prima persona l’impegno di Ian D’Agata per i giovani, negli eventi che lo vedono protagonista c’è sempre quel misto di personaggi che non trovi da nessun’altra parte (almeno in Italia). Ci sono sempre i big, perché quello è il livello, ma anche una nutrita presenza di giovani di diversa estrazione. A Collisioni, per il Progetto Vino, tra gli esperti ci sono diversi trentenni e nella stessa organizzazione ampie responsabilità sono affidate a ragazzi anche più giovani. Questo è il modo per crescere, tutti. Anche il critico rinomato e di altissimo livello può imparare qualcosa, o magari anche solo ricordarlo, stando a contatto qualche giorno con un degustatore giovane con tanta voglia di fare.  DOMANDA: Mai pentito di lasciare The Wine Advocate? GALLONI: No, non mi sono mai pentito. È stato difficile ma semplice. La cosa peggiore nella vita è il rammarico e a volte bisogna anche rischiare, si dice che la fortuna aiuta gli audaci. C’è stata un po’ di tensione all’inizio, ma poi siamo stati anche fortunati… Me lo sentivo, i miei genitori e mia moglie mi hanno supportato in questo percorso. D’altronde da solo nella vita non fai nulla, trovi ispirazione nelle persone che hai intorno. Avevo l’appoggio emotivo dei miei genitori e di mia moglie e soprattutto negli Stati Uniti il fallire non è visto come una cosa negativa, in Italia invece è tutto diverso. A volte devi fallire, altrimenti significa che non stai lavorando abbastanza duro. Il fallimento è una cosa buona se impari. Mi spingo anche oltre e dico che voglio una cultura del fallimento, per provare cose senza paura anche se a volte non andrà bene. Certo, in questi tentativi non devi mettere in discussione come ti comporti con le persone, la correttezza. Credere e chiedere una “cultura del fallimento” è forte, ma la spiegazione supporta – a mio parere – ampiamente l’elemento di rottura che porta con sé. Voglio dire, forse l’essere ancorati alla paura di fallire è cosa ben peggiore del tentativo andato male. Quando non si rischia non c’è crescita. Mentre la “cultura del fallito”, se possiamo definire così l’approccio italiano o forse mediterraneo, ci incatena a una condizione generale piuttosto che a un singolo stato evolutivo. Aver fallito un impresa non fa di noi dei falliti quanto piuttosto persone più forti e capacità di prima, se siamo capaci di capire dove come abbiamo sbagliato. Stiamo andando a parlare dei massimi sistemi, ma i concetti ci sono tutti, compreso il richiamo all’istinto e ai valori importanti della famiglia e del nostro essere “animali sociali”. Insomma vino ma non solo, d’altronde il Festival Collisioni è da sempre proprio questo, uno scontro vivificante tra culture ed esperienze diverse. Ti potrebbe interessare anche… Il “Galloni-pensiero” in 6 mosse / Collisioni 2016-Capitolo 2 […]