Comunicati | 22 Maggio 2016 | Fabio Ciarla

“I segreti svelati della Vigna di Leonardo” Le Donne della Vite rendono omaggio al genio italiano che fu anche viticoltore

In un evento organizzato dalle Donne della Vite, i ricercatori protagonisti della rinascita della Vigna di Leonardo presso la Casa degli Atellani a Milano hanno raccontato le tappe salienti del progetto scientifico che ha portato alla scoperta della varietà coltivata da Leonardo: la Malvasia di Candia aromatica

 

Quella della Vigna di Leonardo presso la Casa degli Atellani, in corso Magenta a Milano, è una bellissima storia, ricca di curiosità storiche e scientifiche, che lega il genio nativo di Vinci al capoluogo lombardo.

Nell’incontro I segreti svelati della Vigna di Leonardo, organizzato dall’Associazione Donne della Vite il 20 maggio 2016, Attilio Scienza e Serena Imazio hanno svelato i particolari del percorso, tanto affascinante quanto complesso, che ha condotto alla sua rinascita.

Letizia Castellini, in veste di padrona di casa, ha accolto il numeroso pubblico e dato il benvenuto alle Donne della Vite. “Teniamo particolarmente a questo evento – ha sottolineato Valeria Fasoli, presentando l’Associazione di cui è presidente – perché ben rappresenta l’essenza dell’Associazione. Oggi in questa cornice di grande ‘bellezza’ ascolteremo una storia affascinante, che vede protagonista la vite. La cultura che diventa punto di partenza e la ricerca che funge da collegamento tra passato e presente. Un passato che appartiene a tutti, come di tutti dovrebbe esserne la conoscenza, che le Donne della Vite vogliono concorrere a diffondere”.

Correva l’anno 1498 quando il duca di Milano Ludovico il Moro regalò 16 pertiche (poco più di un ettaro) di vigna a Leonardo, all’epoca impegnato a dipingere la sua celeberrima Ultima Cena nel refettorio della vicina chiesa di Santa Maria delle Grazie, destinata – nelle intenzioni del duca – a diventare il mausoleo della famiglia Sforza. Gli Atellani erano cortigiani sforzeschi ai quali il Moro aveva donato questa abitazione, nel cui giardino Leonardo si era stabilito insieme ad alcuni discepoli, all’interno di una piccola dépendance.

Sottratta a Leonardo dai Francesi – che imprigionarono anche Ludovico il Moro – la vigna fu successivamente da lui riconquistata e, alla sua morte nel 1519, lasciata in eredità in parte a un servitore e in parte al suo allievo prediletto, nonché amante, Gian Giacomo Caprotti, detto il Salaì.

Rimaneggiata agli inizi del Novecento dall’architetto Piero Portaluppi, la Casa degli Atellani – e con essa la vigna di Leonardo – venne gravemente danneggiata dai bombardamenti nel corso della seconda Guerra Mondiale. Nel 2008 l’allora sindaco Letizia Moratti annunciò a Parigi la candidatura di Milano ad ospitare Expo 2015 e, in tale occasione, anche l’intenzione di ripiantare la Vigna di Leonardo nel giardino della villa, esattamente laddove era ubicata nel XV secolo.

Ideatore e promotore del progetto fu in prima istanza – di concerto con la famiglia Castellini, allora come oggi proprietaria della Villa – il giornalista e scrittore Luca Maroni, appassionato studioso di Leonardo da Vinci oltre che profondo conoscitore dell’universo enoico e autore del libro Milano è la vigna di Leonardo. Il progetto venne poi affidato per la parte scientifica a due ricercatori di fama della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano: il professor Attilio Scienza, docente di Viticoltura, e la genetista Serena Imazio. Sarà grazie alle loro ricerche sul Dna contenuto in frammenti di materiale organico rinvenuto setacciando il terreno che un tempo aveva ospitato la Vigna di Leonardo, e che le macerie dei bombardamenti avevano protetto, che si scoprirà essere la Malvasia di Candia aromatica il vitigno coltivato da Leonardo a Milano.

Attilio Scienza, nel suo excursus storico sull’artista-scienziato e sulla sua Vigna milanese, ha illustrato in modo coinvolgente l’ecletticità e la genialità di Leonardo, ha raccontato l’uomo, l’ingegnere e l’artista e in parallelo si è soffermato sui passaggi che hanno interessato la viticoltura.

Leonardo – ha detto Scienza, raccontando una curiosità – venne assunto alle dipendenze di Ludovico il Moro non tanto per le sue doti di ingegnere o artista, ma piuttosto perché nella sua lettera di presentazione si era detto molto abile nella creazione di sfondi scenografici per feste sontuose“.

In più di un momento – ha affermato Serena Imazio – ho ritenuto un’impresa ardua pervenire a un risultato significativo nella nostre indagini sui frammenti di Dna rinvenuti nel terreno del giardino della Villa. Ma grazie a tecniche di analisi raffinate e alla consultazione di banche dati di varietà presumibilmente diffuse a quell’epoca, siamo riusciti a stabilire con sufficiente certezza che la varietà coltivata da Leonardo fosse Malvasia di Candia aromatica“.

Alle relazioni di Scienza e Imazio hanno fatto seguito la visita alla Casa degli Atellani e alla Vigna di Leonardo, guidata da Jacopo Ghilardotti, storico della Casa degli Atellani, e una degustazione di quattro vini da Malvasia di Candia aromatica, vitigno diffuso principalmente nella provincia di Piacenza, dove hanno sede le quattro aziende che hanno gentilmente offerto i prodotti in degustazione: Azienda Agricola Loschi Enrico (Colli Piacentini Doc Malvasia frizzante Donna Enrica); Tenuta Castello di Luzzano (Colli Piacentini Doc Malvasia fermo Tasto di Seta); Cantine Casabella (Colli Piacentini Doc Malvasia spumante dolce Novecento Cavalieri); Cantina di Vicobarone (Colli Piacentini Doc Malvasia passito Astrea).

La degustazione è stata guidata da un altro protagonista del progetto scientifico grazie al quale la Vigna di Leonardo è tornata a vivere: Roberto Miravalle, presidente del Consorzio di Tutela Vini Doc Colli Piacentini.

Del resto la Malvasia di Candia aromatica non è il solo particolare che lega la Casa degli Atellani a Piacenza: Ludovico il Moro acquistò la Villa, per donarla alla famiglia degli Atellani, dai conti Zanardi Landi, uno dei più antichi casati del patriziato piacentino.

 

 

DONNE DELLA VITE, LA CARTA D’IDENTITÀ

Un «nuovo luogo» per guardare alla viticoltura e al vino ispirandosi a Etica, Estetica e Bellezza. Questa in estrema sintesi la descrizione di ciò che l’associazione Donne della Vite vuole rappresentare. Gli elementi caratterizzanti delle Donne della Vite sono strettamente legati all’esperienza delle fondatrici (Valeria Fasoli, presidente; Clementina Palese, vicepresidente; Alessandra Biondi Bartolini, Costanza Fregoni, Laura Passera, Giulia Tamai e Lorena Troccoli), tutte agronome di formazione che poi hanno intrapreso percorsi professionali differenti in questo stesso ambito.

Il loro nome, Donne della Vite, racchiude ciò che sono e il filo conduttore delle loro attività. Sono donne, e su questo non c’è alcun dubbio, hanno sogni, ideali e voglia di cambiamento nel solco dell’Etica, nei rapporti reciproci e nella loro professione, dell’Estetica, come conoscenza del bello naturale, artistico e scientifico, e della Bellezza, da esprimere e da promuovere.

L’associazione si rivolge a tutte le donne del settore vitivinicolo dalla terra (la vite appunto) al consumo senza tralasciare nessuna persona che fa parte di questa filiera; si rivolge alle agronome, ma anche a ricercatrici, tecniche, giornaliste, enologhe, trattoriste, agenti commerciali, direttori, operatrici agricole, ecc. E non sono esclusi gli uomini. E’ nata con l’obiettivo di creare un punto di riferimento e un’occasione di aggregazione per le donne che operano nel mondo vitivinicolo, in cui raramente si trovano a lavorare insieme e a condividere progetti, e per valorizzarne il ruolo in un settore in cui sensibilità, capacità e professionalità femminili rischiano di non essere comprese in tutto il loro valore.

In questa visione ampia, nuova e articolata, le Donne della Vite hanno cominciato a proporre nuove e coinvolgenti attività culturali, formative e divulgative  con l’obiettivo di costruire una «rete culturale» di incontro e crescita nella quale condividere anche informazioni professionali, come ad esempio i risultati di sperimentazioni che spesso rimangono nei cassetti dei ricercatori.

 

Fonte: Ufficio stampa Donne della Vite

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