Rubriche | 10 Luglio 2025 | Fabio Ciarla

L’evoluzione di una storia secolare in un bicchiere: tenuta di Arceno

Sono 112 gli ettari vitati di Tenuta di Arceno, sui circa mille complessivi dell’azienda, distribuiti tra i 300 e gli oltre 650 metri sul livello del mare per ben 10 microclimi differenti. Un complesso intreccio di vite, ulivo, storia, argilla, passione e tradizioni familiari che rappresenta oggi un unicum in Toscana. Le tracce di questa grande tenuta nell’area del Chianti Classico risalgono almeno al 1504, quando i Del Taja acquisiscono e accorpano terreni in un’unica proprietà, ma il primo vero cambio di passo avviene nel 1829 quando subentra una delle casate più illustri di Siena, i Piccolomini, che impreziosiscono Tenuta di Arceno costruendo giardini, laghi e diverse ville. La seconda rivoluzione è datata 1994, anche se forse è meglio parlare di continuità, di famiglia in famiglia sono i Jackson a comprare l’intera proprietà, che diventa l’unica azienda vinicola italiana di un gruppo da circa 50 realtà distribuite tra Stati Uniti (40 in California e Oregon principalmente) e 10 nel resto del mondo (Australia, Canada, Francia, Sudafrica, Cile e appunto Italia). Fin dall’inizio Jess Jackson, scomparso nel 2011, e sua moglie Barbara Banke, hanno coinvolto nel progetto personaggi di grande spessore, a cominciare dall’enologo Pierre Seillan, che ha dato vita alla filosofia produttiva dell’azienda tramite l’idea del micro-cru, affiancato in vigna dall’agronomo Michele Pezzicoli e, dal 2002, dall’enologo statunitense (con origini italiane) Lawrence Cronin. Una visione, quella di Tenuta di Arceno, che si appoggia su grandi professionisti e che da Castelnuovo Berardenga si è fatta conoscere in giro per il mondo. In Italia certamente poter fare affidamento su un gruppo leader nella distribuzione di vini e spiertits di qualità come quello capeggiato da Pietro Pellegrini, che ha accompagnato la degustazione delle 10 etichette che abbiamo provato a raccontare in questo scritto, può fare la differenza.

Con queste premesse ci siamo avvicinati all’assaggio dell’ultima evoluzione dell’azienda, che si sta spostando sempre più sui varietali, dando spazio alla doppia anima di Tenuta di Arceno fatta di grande attenzione al Sangiovese ma anche alle uve bordolesi. Per cominciare però subito una novità, dal 2024 è infatti in commercio il Rosambra, il rosato da Sangiovese che sprizza freschezza e bevibilità, frutto di due vigneti differenti per mixare aromaticità e acidità. Solo 3 ore di pressa e poi una lavorazione che punta a mantenere la leggerezza e l’eleganza. A seguire, cercando di immaginare la complessità di gestire gli 80 blocchi distinti in cui è suddivisa l’azienda – con la guida di Pepe Schib Graciani, brand ambassador della tenuta, e dell’enologo Lawrence Cronin – ancora spazio al Sangiovese, ma in rosso, per le tre espressioni di Chianti Classico: Riserva 2020 (qui il vitigno toscano accoglie anche il Cabernet Sauvignon), Strada al Sasso e Campolupi (entrambi Gran Selezione del 2021). Un viaggio tra la capacità di dialogo dei vitigni e il momento giusto per bere la Riserva 2020 e le differenze dei due cru, che possono ancora stare in bottiglia vista la complessità dimostrata, delle due Gran Selezioni. Si passa poi ai varietali bordolesi, con tre annate di Valadorna, che mettono in mostra la capacità espressive del Merlot, cominciando con la 2012 (che ancora prevedeva una cooperazione con Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon) per arrivare alle 2018 e 2019 che segnano il cambio di passo sia per l’uvaggio, 100% Merlot, sia per lo stile dell’azienda. A chiudere i “lavori” è arrivato il Cabernet Franc, con l’Arcanum ancora una volta partendo dalla 2012 e dall’inziale blend (con Petit Verdot, Merlot e Cabernet Sauvignon) per arrivare poi alla purezza delle annate 2018 e 2019. Se è evidente il percorso fatto dall’azienda per mettere in bottiglia soprattutto il territorio, puntando alla leggerezza in cantina così da affiancare le espressioni varietali di ogni singolo vitigno, è altrettanto chiaro come ci si trovi di fronte a vini di grande longevità, che probabilmente possono essere definiti giovani. Ma non nel senso che non sono già apprezzabili, quanto piuttosto per il fatto che siamo sicuri possano dare ancora molto in futuro e quindi il consiglio è il classico “compra e metti in cantina”, magari bevendo subito la Riserva 2020 e il Rosambra.

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