Blog | 11 Ottobre 2018 | Fabio Ciarla

I vigneti di montagna del Moscato di Terracina, uno spettacolo unico grazie a Cantina Sant’Andrea

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Vieni, ti porto a vedere i nostri vigneti di Moscato”. Arrivando a Terracina, non prima di aver fatto un rifornimento di mozzarelle e ricotte di bufala al caseificio Macchiusi, tutto mi aspettavo tranne che lasciare la costa e la pianura per inerpicarmi sulle montagne.

E invece Andrea Pandolfo, che con il padre Gabriele è l’anima di Cantina Sant’Andrea, mi fa salire sulla sua macchina e comincia a salire. San Silvano è la valle storica dei vigneti di Terracina, si affaccia sul mare ma in realtà si incunea tra ripidi costoni rocciosi dei Monti Ausoni, sembra di essere nell’interno della Sardegna e invece siamo a 60 chilometri da Roma. Questa è l’area storica della viticoltura terracinese, della quale San Silvano è protettore, ed è quella che ha dato i natali alla città. “Terracina è stata costruita con il Moscato – ci dice Andrea tra una curva e l’altra – prima soprattutto come uva da mensa ma non avrebbe comunque retto l’urto di varietà come il Kyoho cinese, noi qui al massimo potevamo produrre 140 quintali per ettaro loro lì ne fanno 400 (la Cina è tra l’altro il primo produttore al mondo di uva – ndr). Si tratta di una varietà appartenente alla famiglia del Moscato Giallo ma piuttosto ostica, vuole un terreno ricco ma molto asciutto. Poco più di 20 anni fa rischiavamo l’estinzione, nel 1997 c’erano in produzione solo 40 ettari e il trend era negativo, oggi siamo a 65 ettari, quindi una crescita del 20%”. Mentre le case diventano meno frequenti, salendo notiamo come ci siano anche tanti ulivi in quest’area. Ci ricordiamo che in fondo siamo a due passi dai Lepini e da paesi famosi per la produzione olivicola, Itri e Sonnino ad esempio, e proprio la varietà “Itrana” è quella scelta dai Pandolfo per accompagnare la produzione di vino con dell’ottimo olio monocultivar, per quanto anche in questo caso la sfida non sia facile a livello produttivo, con grandi sbalzi di anno in anno.


Ma come si è arrivati a risollevare le sorti del Moscato di Terracina? Con lo sviluppo della DOC, ed è un successo più unico che raro in quanto spesso le denominazioni i problemi li hanno causati invece di risolverli. “Nel 1997 abbiamo dato vita ad una cooperativa di produttori, eravamo 50 circa, proprio allo scopo di tutelare il Moscato. L’iter per l’istituzione della DOC è stato lungo ed è iniziato nel 1996, finalmente dopo 11 anni, nel 2007, è nata la DOC (Terracina o Moscato di Terracina – ndr) che comprende oltre al territorio di Terracina anche quello di Monte San Biagio e Sonnino. Avendo dalla nostra la forza dei numeri, rappresentavamo oltre il 90% dell’uva moscato prodotta, siamo riusciti a fare un disciplinare solo orientato alla qualità, tutta la filiera rimane in zona e cerchiamo di crescere secondo la domanda, senza forzature”. Oggi Andrea è il presidente della Cooperativa, che rimane associazione di produttori di uve che poi consegnano alla Sant’Andrea appunto, ma altre realtà si sono affacciate sul mercato con il Moscato, come le cantine Villa Gianna e Valle Marina. Certo con i loro 12 ettari complessivi i Pandolfo rappresentano i principali produttori, alla frazione de La Fiora altri proprietari hanno 2 ettari e sono considerati grandi produttori, insomma parliamo comunque di numeri piccoli ma molto ben articolati.

Nel frattempo abbiamo finito l’ascesa e ci troviamo su un pianoro in cui spuntano vigne a destra e sinistra, si vede qualche casa in lontananza e una grande roccia verso la quale ci dirigiamo. Siamo a Campo Soriano, un altipiano a 400 metri slm di origine carsica come il resto delle colline che abbiamo attraversato. Oggi è un Monumento Naturale di 800 ettari, 12 dei quali sono stati recuperati a cominciare dal 1998 dalla famiglia Pandolfo per ristrutturare alcuni vecchi vigneti eroici. E il termine non è usato a caso, ce ne accorgiamo cominciando a girare tra filari ricavati tra le rocce e dalla conferma di Andrea: “Questo vigneto, dal quale ricaviamo l’Hum, è iscritto al Cervim (Centro di Ricerca, Studi e Valorizzazione per la Viticoltura di Montagna, in Forte Pendenza e delle Piccole Isole). Ci sono voluti quasi 14 anni per riuscire a sistemare tutto, la prima vendemmia è del 2012 ma siamo davvero contenti di quello che abbiamo fatto. Anzi, qui intorno ci sono altri vecchi vigneti che alcuni anziani non riescono più a gestire, ce li vorrebbero dare e noi saremmo ben felici di proseguire in questa operazione di recupero ma la burocrazia spesso è imprevedibile”.

Eppure qui vivere la vigna significa sostanzialmente sfidare la natura ad armi pari, l’acqua corrente non esiste, le rocce affiorano con spuntoni e massi che sembrano adagiati tra le vigne. O le vigne ci si sono adagiate con gli anni più probabilmente. Insomma una viticoltura eroica che non fa male a nessuno, anzi recupera alla comunità – essendo la zona comunque visitabile – uno spazio che altrimenti sarebbe abbandonato. Unico aiuto per l’uomo i vecchi Toselli 68, Toselli è la marca e 68 è l’anno di produzione. Sono piccoli trattori cingolati, gli unici che alla prova del terreno sono riusciti a resistere. Qui tra roccia e terreno spesso molto indurito dal sole “i trattori moderni non riescono a incidere, sono troppo leggeri” ci dice Andrea, che per farci vedere di cosa parla accende il Toselli, che parte al primo colpo. “Ne abbiamo 6, 5 operativi e uno solo per i pezzi di ricambio”, insomma delle vere reliquie in un contesto che solo ad occhi malevoli può sembrare poco naturale. Siamo ad agosto, la vendemmia è vicina ma c’è anche tanto altro e tra una salita e una discesa in mezzo ai filari, sperando di non sbagliare strada, ci rimpinziamo di uva, ovviamente, ma anche di tante more, mele selvatiche, susine. Insomma un posto meraviglioso, con angoli nascosti di una bellezza abbacinante, con l’Hum centrale a fare da riferimento. Sì perché la roccia a forma di cattedrale alta una quindicina di metri di cui abbiamo parlato all’inizio prende proprio il nome di Hum, che è lo stesso del vino di punta di Sant’Andrea, una sorta di “cru” aziendale molto interessante. Un Moscato da invecchiamento, assaggiato recentemente quello del 2013 ha mostrato grandi possibilità con sentori che virano più sulla parte muschiata, terziaria, mentre in bocca rimangono la freschezza e la sapidità di un vino di montagna.

Finito il giro è ora di riscendere, di tornare alla base a Borgo Vodice, dove si trova la porzione più importante del vigneto aziendale (40 ettari) mentre altri impianti sono nei comuni di Sabaudia (10 ha) e Aprilia (25 ha). Qui, nella sede storica, i lavori non mancano. Mentre il tetto fornisce energia fotovoltaica quasi sempre in quantità superiori al necessario, il vecchio spazio dedicato alla vendita è in procinto di diventare un Bed & Breakfast, in pratica dal 2019 si potrà dormire nel, rinnovato, podere della nonna di Andrea. Lo spazio per la vendita diretta è bello e accogliente, segno di una presenza sul territorio storica e di alto livello, c’è lo sfuso e tutta la gamma in bottiglia, un via vai accentuato ovviamente dal periodo vacanziero. Ma il senso è quello di essere protagonisti insieme al territorio: “Il nostro B&B si rifornirà solo di materie prime di eccellenza dei dintorni, dai formaggi alla carne sarà tutto proveniente da produttori di fiducia delle aree limitrofe”.

Un bel progetto, di cui continuiamo a discutere a pranzo, con un assaggio di quello che i turisti troveranno poi dalla primavera. Tra una mozzarella e un affettato, torniamo alla produzione di Cantina Sant’Andrea. Moscato di Terracina come elemento distintivo ma non di meno conto le produzioni di Malvasia di Candia prima e del Lazio poi, Trebbiano, Cesanese, Aleatico e Merlot. Ottimi vini quotidiani e alcune produzioni che spiccano per originalità, una gamma variegata e completa sempre a prezzi molto umani. Da segnalare, oltre all’Hum, il noto “Oppidum” (Moscato) sia nella versione ferma sia in quella spumante (Charmat), il “Dune” (Malvasia puntinata e Trebbiano con grande personalità), il “Sogno” frutto di un felice matrimonio tra Cesanese e Merlot, non male il rosato da Aleatico e ottimo il “Capitolium” (Moscato passito). Insomma la scelta non manca ed è quasi ora anche del Novello, da uve Merlot lavorate nel maceratore di proprietà a garanzia di una vera macerazione carbonica, e infatti le 10.000 bottiglie prodotte sono rimaste sempre le stesse come numero – moda o no – e sono anche oggi tutte vendute nei tempi previsti. Ultima chicca il rapporto speciale dei Pandolfo con le religioni, sono certificati secondo i più rigidi dettami Kosher dal 1998 e ogni anno ospitano delegazioni in arrivo direttamente da Israele per confezionare il vino.

Parlare con Gabriele Pandolfo d’altronde assomiglia ad un grande viaggio in cui culture, religioni e lavoro si fondono. Vissuto fino a 14 anni in Tunisia da grande proprietario terriero, crescendo a contatto con coetanei e musulmani ed ebrei (numerosi in quell’area), si è ritrovato con la sua famiglia a diventare “migrante di ritorno” quando il Paese nordafricano nazionalizzò le terre. Il rientro in Italia non fu facile, pur essendo italiani erano comunque “migranti”, ma con un piccolo appoggio a Terracina e tanta voglia di lavorare i Pandolfo hanno creato Cantina Sant’Andrea, oggi più che mai un esempio rilevante sul piano enologico regionale e nazionale. 

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