Collaborazioni | 3 Luglio 2020 | Fabio Ciarla

Barolo, le migliori annate del vino delle due rivoluzioni

Le rivoluzioni, nel mondo del vino, non sono quasi mai cruente. Ma sono necessarie, a volte, per tracciare nuovi percorsi, pur inserendosi in tradizioni a volte secolari. Il Barolo Docg è, in questo senso, un esempio di studio e di riflessione per tutti gli appassionati.

Annoverato oggi tra i più grandi vini rossi del mondo, per qualità e anche per quotazioni, ha una tradizione alle spalle che affonda le sue radici centinaia di anni addietro. Eppure, contrariamente a quanto qualcuno ama pensare (interpretando la tradizione come un qualcosa di statico e inamovibile), il Barolo che conosciamo oggi è decisamente diverso da quello che era nell’Ottocento e, forse, anche nel Novecento.

Un cambiamento in parte dovuto al miglioramento delle conoscenze tecniche e, in parte, ad almeno un paio di “rivoluzioni”. La prima venne messa a punto a metà del XIX secolo ed ebbe come protagonisti Camillo Benso Conte di Cavour, la Marchesa di Barolo Giulia Falletti Colbert e l’enologo-commerciante Louis Oudart.

Innovazioni in vigna, miglioramenti in cantina e una rinnovata attenzione, potremmo dire “mediatica”, per questo vino fecero sì che nelle corti europee il nome di Barolo non fosse più così sconosciuto. La seconda rivoluzione, più documentata, fa riferimento ai cosiddetti “Barolo Boys”, ovvero la nuova generazione di produttori che in poco più di un decennio – dal 1983 al 1994 – misero in piedi, e in bottiglia, un nuovo Barolo.

 

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